La responsabilità delle strutture sanitarie per il trapianto di un organo non idoneo

La responsabilità delle strutture sanitarie per il trapianto di un organo non idoneo
30 Ottobre 2017: La responsabilità delle strutture sanitarie per il trapianto di un organo non idoneo 30 Ottobre 2017

Le cause del nostro studio

E’ di pochi giorni fa il caso, che ha suscitato vasta eco di stampa, del trapianto di cuore effettuato da un Ospedale romano su un paziente cinquantenne, purtroppo deceduto a due giorni di distanza dall’intervento a causa di un’insufficienza cardiaca che parrebbe da attribuirsi al fatto che l’organo, espiantato da un Ospedale milanese da un donatore a sua volta affetto da patologie cardiache, non fosse in realtà idoneo.

Le indagini penali e le inchieste amministrative in corso chiariranno se il cuore trapiantato fosse o meno idoneo, ma, per il caso che il responso fosse negativo, c’è da chiedersi chi dovrà ritenersi responsabile dell’irreparabile danno recato al paziente: la struttura sanitaria che ha eseguito l’espianto, quella che ha effettuato il trapianto o entrambe?

Il Tribunale di Treviso, con la sentenza n. 189/2017, ha recentemente deciso un caso del genere.

Nel caso specifico si trattava di un rene espiantato da un Ospedale che era poi stato trapiantato dall’equipe chirurgica di un altro Ospedale, rivelandosi però, qualche tempo dopo l’intervento, contaminato da candida albicans, con effetti gravemente pregiudizievoli per il paziente.

La consulenza d’ufficio aveva chiarito che la contaminazione era avvenuta a causa di “un’alta concentrazione di candida albicans nel “liquido di Collins” (soluzione nella quale l’Ospedale che esegue l’espianto del rene immerge l’organo al fine di consentirne la conservazione ed il trasporto presso l’Ospedale che deve eseguire il trapianto)”, e quindi precedentemente al trapianto stesso, nonché il fatto che i medici dell’Ospedale che avevano eseguito quest’ultimo non “avrebbero potuto constatare autonomamente” l’infezione verificatasi perché “i tempi tecnici necessari per eseguire gli esami colturali di laboratorio… non erano compatibili con la necessità di ridurre il più possibile l’intervallo di tempo intercorrente tra l’espianto ed il rimpianto dell’organo”.

Osservato che “la valutazione preoperatoria” del paziente era stata “accurata”, che “l’intervento chirurgico di trapianto fu eseguito senza alcun problema di natura tecnica” e che il paziente era stata “sottoposto ad un adeguato trattamento immuno-soppressivo, come da protocolli”, il Tribunale non ha ravvisato “alcun comportamento addebitabile al nosocomio” presso il quale era stato eseguito l’intervento di trapianto, ritenendo quindi sussistente la prova dell’esatto adempimento dell’obbligazione da questi assunta, ed ha quindi respinto la domanda proposta contro quest’ultimo.

La sentenza ha, invece, ritenuto responsabile, e condannato al risarcimento del danno, l’Ospedale che aveva eseguito l’espianto dell’organo sulla base del “criterio probabilistico congruamente enunciato dal consulente (e pacificamente utilizzabile in chiave decisoria nell’ambito del giudizio civile, alla stregua del parametro del “più probabile che non”)”.

La decisione appare congruamente motivata in relazione al caso deciso, ma non è detto che la soluzione da essa prospettata per quest’ultimo sia sic et simpliciter utilizzabile per il diverso caso del suddetto trapianto di cuore.

In quel caso, molto probabilmente, sarà necessario stabilire a quale dei due Ospedali competesse, sulla base dei protocolli specificamente applicabili, di accertare l’idoneità dell’organo da trapiantare, sotto il profilo dell’assenza di patologie pregresse, e se tale idoneità fosse comunque sindacabile dall’Ospedale che ha effettuato il trapianto in adempimento della diligenza qualificata propria dell’operatore professionale.

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